OKI-Logo Principi generali e norme pratiche per coordinare
l’azione evangelizzatrice e l’impegno ecumenico
della chiesa cattolica in Russia e negli
altri paesi della C.S.I.


Introduzione
La Chiesa ha ricevuto da Cristo la missione di portare il Vangelo di salvezza a tutte le genti, quale popolo messianico, poiché "costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da Lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cfr. Mt. 5, 13-16), è inviato a tutto il mondo" (Costituzione dogmatica Lumen Gentium, n. 9).
Sacramento della comunione tra Dio e gli uomini, la Chiesa è segno e fermento d’unità dell’umanità. Essa chiama tutti a beneficiare dell’abbondanza dei doni di Dio, provenienti dal sacrificio redentore di Cristo e dall’effusione dello Spirito Santo, che rinnova il volto della terra. Nel compiere la missione affidatale da Cristo, la chiesa cattolica incontra altre comunità che si richiamano a Cristo, in particolare le Chiese ortodosse, con le quali condivide gran parte del patrimonio ecclesiale.
Non tutti i destinatari del messaggio evangelico, in un medesimo territorio, lo ricevono nella stessa maniera: vi sono fedeli membri della Chiesa cattolica, fratelli di altre confessioni e tradizioni cristiane, come vi sono anche quelli che pur avendolo ricevuto non l’hanno fatto proprio, e sono divenuti non credenti o atei. Verso tutti è diretta la sollecitudine della Chiesa, secondo la loro condizione propria.
Le Direttive emanate in questo documento riguardano le condizioni particolari dei territori dell’ex-Unione Sovietica e dell’Europa orientale, e tengono conto della secolare presenza della Chiesa ortodossa e della dolorosa storia di quelle popolazioni sotto il regime comunista. Le norme statali sulla libertà religiosa permettono oggi alle Chiese di poter svolgere la loro missione con rinnovato senso di responsabilità non solo verso quanti avevano sofferto persecuzione, ma anche verso coloro che sono alla ricerca della verità e dei mezzi di salvezza. Non in concorrenza, ma nella comune considerazione dell’unità voluta da Cristo, la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa sono chiamate a compiere la propria missione, di modo che la loro testimonianza, sia nell’azione propria, che nelle imprese svolte in comune, risponda pienamente alla volontà di Cristo, Via, Verità e Vita, e rispetti la coscienza di ogni persona, così come la libera distribuzione dei carismi dello Spirito Santo.

I. Principi generali.

  1. Dopo 70 anni di ateismo ufficiale nei territori dell’ex-Unione Sovietica, le comunità cattoliche, di rito latino, bizantino e armeno, hanno particolare bisogno di una nuova evangelizzazione.
    Tale esigenza, ha motivato la sollecita riorganizzazione della Gerarchia locale, con la nomina di Vescovi o Ammininistratori Apostolici per le comunità latine di Bielorussia, Russia, Kazakistan ed Ucraina, il riconoscimento e la "missio canonica" dei Vescovi della Chiesa cattolica di rito Bizantino ucraino, che erano stati ordinati nella clandestinità, e l’erezione dell’Ordinariato per gli Armeni cattolici.
  2. I Vescovi e gli Ammimistratori Apostolici, pertanto, harino il diritto ed il dovere di provvedere alle necessità spirituali dei cattolici affidati alla loro cura pastorale. Essi debbono preoccuparsi di assicurare la presenza di un sacerdote nelle varie comunità, facendo in modo che anche quelle poco numerose abbiano l’assistenza, sia pure saltuaria, di un presbitero, per la celebrazione dell’Eucaristia e degli altri Sacramenti, e possano ricevere la dovuta istruzione religiosa.
    Mantiene, infatti, tutta la sua validità l’osservazione di San Paolo nella Lettera ai Romani "come potranno gli uomini credere nel Signore, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? … La fede, dunque, dipende dalla predicazione e la predicazione, a sua volta, si attua per la parola di Cristo" (Rom. 10, 14-17).
    Per compiere quest’opera di evangelizzazione, finché non vi sarà un clero locale adeguatamente formato, i Vescovi e gli Amministratori Apostolici procureranno di ottenere la necessaria collaborazione da parte degli Episcopati e degli Ordini Religiosi di altri Paesi, facendo attenzione anche alle esigenze linguistiche delle loro comunità, per rispettare i diritti, anche religiosi, delle minoranze etniche presenti nei Paesi della C.S.I.
    Per quanto riguarda le comunità di rito orientale, si potrà prendere in considerazione la possibilità di avvalersi dell’aiuto di sacerdoti birituali, qualora non siano sufficienti i sacerdoti del rito proprio. Essi dovranno essere ben istruiti non solo nella liturgia, ma anche nelle tradizioni e nella sensibilità della Chiesa, al cui servizio sono inviati.
  3. Le strutture apostoliche che i Vescovi ed Amministratori Apostolici organizzano nei territori ad essi affidati, hanno lo scopo di rispondere ai bisogni delle comunità cattoliche presenti sul territorio. Esse non mirano, in alcun modo, a far entrare la Chiesa cattolica in concorrenza con la Chiesa ortodossa russa o con altre Chiese cristiane presenti sul medesimo territorio. Il cosiddetto proselitismo, e cioè ogni pressione sulla coscienza, sotto qualsiasi forma e da chiunque venga praticato, è totalmente differente dall’apostolato e non è certo il metodo a cui si ispirano i Pastori della Chiesa Cattolica. A tale proposito, insegna solennemente il Concilio Ecumenico Vaticano II: "La Chiesa proibisce severamente di costringere o di indurre ed attirare alcuno con inoportuni raggiri ad abbracciare la fede …" (Decreto Ad Gentes, n. 13).
  4. L’attività apostolica nei territori della C.S.I. e dell’Europa orientale richiede dai cattolici sia la fedeltà alla propria missione, che una vera sollecitudine per i fratelli ortodossi, nel rispetto della loro fede, per preparare con loro l’unità ecclesiale, voluta da Cristo. Si tratta precisamente di realizzare quel1’unità nella verità, per cui Cristo ha pregato (cfr. Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi n. 54). Questa preparazione dell’unità, tanto desiderata, si fara sviluppando una fraterna fiducia tra Vescovi, Sacerdoti e Fedeli delle due Chiese.
  5. Nel pieno rispetto della libertà religiosa, che è un diritto inalienabile di ciascuna persona, i Vescovi ed i Sacerdoti avranno cura di considerare attentamente i motivi che ispirano chi chiede di entrare nella Chiesa cattolica, rendendolo anche consapevole dei suoi obblighi verso la propria comunità di origine.
    La Dichiarazione sulla Libertà religiosa, emanata dal Concilio Ecumenico Vaticano II, costituisce per la Chiesa cattolica un documento fondamentale a tale riquardo. Presentandosene l’occasione, sarà bene ricordare questi principi, chiedendo a tutti rispetto per la scelta religiosa di ogni credente.
  6. Ogni cattolico sa bene che la "Chiesa è per sua natura missionaria" (Decreto Ad Gentes, n. 2). Na ogni cattolico sa anche che l’impegno di promuavere l’unità dei cristiani si iscrive in quella missione di annuciare al mondo la Buona Novella della salvezza in Cristo, nell’unità di un solo Corpo, un solo battesimo, una sola fede.
    Per cui, l’azione apostolica della Chiesa cattolica nei territori della C.S.I., oggi più che mai, deve avere una dimensione ecumenica. Essa deve favorire in tutti i modi il dialogo fra i cristiani alla luce dei principi enunciati dal Concilio Vaticano II e dei relativi Documenti post-conciliari, costituendo per le istituzioni della Chiesa cattolica nei territori della C.S.I. una delle priorità pastorali. La via per realizzare l’unità dei cristiani, infatti, non è certo il proselitismo, ma il dialogo fraterno tra i discepoli di Cristo, un dialogo nutrito dalla preghiera e sviluppato nella carità, per ristabilire quella comunione piena tra la Chiesa bizantina e la Chiesa di Roma, che esisteva nel primo millennio. Questo dialogo deve avvenire tanto a livello locale quanto a livello regionale ed universale, ed ha come scopo quello di favorire una fiducia reciproca, di modo che tutti i cristiani di diverse confessioni possano collaborare in alcune imprese apostoliche, sociali e culturali, affinché "la parola di Dio corra e sia glorificata" (2 Tess. 3,1).
    Riconoscendosi come membri di Chiese che conservano gran parte del patrimonio comune - sacramentale, liturgico, spirituale e teologico -, cattolici ed ortodossi possono rendere una testimonianza comune a Cristo, di fronte al mondo, che aspira alla propria unità. Il patrimonio comune è tale, da favorire l’azione comune, nel rispetto delle tradizioni proprie.
  7. Certamente l’attività svolta dalla Chiesa cattolica nei territori della C.S.I., cosi profondamente segnati dalla presenza e dall’azione della tradizione ortodossa e da quella armena, si dovrà svolgere secondo modalità che sono sostanzialmente diverse da quelle della «missione "ad gentes"».
    I cattolici latini, in particolare, non debbono dimenticare la speciale condizione della nascita e crescita delle Chiese d’Oriente, la tradizione liturgica e spirituale degli orientali, il loro gran amore per la Madre di Dio. «Lo stesso Concilio - afferma il Santo Padre nel Messaggio Magnum Baptismi Donum (14 febb. 1988), ai cattolici ucraini in occasione del Millennio del Battesimo della Rus’ di Kiev - sottolineava i grandi valori delle tradizioni liturgiche, spirituali, disciplinari e teologiche che si trovano in queste Chiese, nonché il loro diritto e dovere di vivere tali tradizioni, che appartengono alla piena cattolicità ed apostolicità della Chiesa» (n. 6, in AAS, LXXX, 1988, pp. 993-994).
    La Chiesa cattolica di rito latino in quelle terre, quindi, deve tenere in grande considerazione le tradizioni orientali che le hanno profondamente marcate, ed in particolare quelle della Chiesa ortodossa. Uscita anch’essa da un lungo periodo di persecuzione, di difficoltà e condizionamenti di ogni genere, la Chiesa ortodossa si trova oggi a dover far fronte al grave compito della nuova evangelizzazione di popolazioni tradizionalmente ortodosse, ma educate e cresciute nell’ateismo.
    Nel dialogo fraterno con i Vescovi locali della Chiesa ortodossa ed in pieno rispetto della confessione religiosa dei cittadini, i Pastori della Chiesa latina si adoperino, pertanto, a promuovere la collaborazione con la Chiesa ortodossa, in tutti quei settori dove essa è possibile, affinché risplenda agli occhi di tutti l’unità nella carità che deve regnare tra le due Chiese, quale preludio alla piena comunione ecclesiale.
    Alle Chiese orientali che sono in comunione con la Sede Apostolica romana, in particolare alla Chiesa cattolica di rito bizantino ucraino, il Concilio Vaticano II ricorda che esse hanno «lo speciale compito di promuovere l’unità di tutti i cristiani, specialmente orientali, secondo i principi del decreto sull’Ecumenismo promulgato da questo santo Concilio, in primo luogo con la preghiera, l’esempio della vita, la scrupolosa fedeltà alle antiche tradizioni orientali, la mutua e più profonda conoscenza, la collaborazione e la fraterna stima delle cose e degli animi» (Decreto Orientalium Ecclesiarum, N. 24).
  8. Il processo di riorganizzazione della Chiesa cattolica nei Paesi della C.S.I., sfortunatamente, è stato accompagnato da tensioni con la Chiesa ortodossa.
    Ciò è avvenuto in Ucraina, in particolare per l’assegnazione dei luoghi di culto, dopo il riconoscimento della libertà di coscienza da parte delle Autorità civili dell’ex-URSS, con consecutivo riconoscimento della Chiesa cattolica di rito bizantino, soppressa nel 1946.
    Certo, non si può definire "proselitismo" il fatto che comunità intere, con i loro sacerdoti a capo, che durante gli anni della soppressione e della persecuzione della Chiesa "greco-cattolica" furono costrette per sopravvivere a dichiararsi ortodosse, abbiano adesso, riacquistata la libertà, manifestato la loro appartenenza alla Chiesa "greco-cattolica". Si è trattato di una libera iniziativa, da parte di popolazioni che, prima del 1946, professavano apertamente la loro fede cattolica.
    Tuttavia, le controversie per i luoghi di culto hanno costituito un penoso incidente di percorso sul cammino dell’ecumenismo.
    La Santa Sede, d’intesa con il Patriarcato di Mosca, aveva cercato di prevenirlo, stabilendo, nel gennaio 1990, le linee direttive che avrebbero dovuto assicurare una serena ripartizione dei luoghi di culto. Purtroppo non si è riusciti in tale intento, a ragione delle condizioni locali, ereditate dal recente passato. Ma non si può far ricadere solo su una parte la responsabilità del fallimento del lavoro intrapreso dalla "Commissione quadripartita".
    Oggi, restano ancora situazioni di disagio e di tensione ed è ancora valida l’esortazione rivolta dal Santo Padre, il 31 maggio 1991, ai Vescovi del Continente europeo: "Tutti debbono essere convinti che, in questi casi di conflitti di ordine piuttosto contingente e pratico, il dialogo resta lo strumento più idoneo per uno scambio fraterno mirante a risolvere le dispute in uno spirito di giustizia, di carità e di perdono" (Lettera del Santo Padre Giovanni Paolo II ai Vescovi del Continente europeo, sulle relazioni tra cattolici e ortodossi nella nuova situazione dell’Europa centrale e orientale, n. 2).

II. Direttive pratiche.
Alla luce dei principi sopra richiamati, al fine di dissipare i timori affiorati nella Chiesa ortodossa e di ristabilire la fiducia reciproca, indispensabile per un autentico dialogo ecumenico tra le due Chiese, a livello locale ed internazionale, si danno le seguenti direttive pratiche:

  1. I Vescovi e gli Amministratori Apostolici, nei territori di loro competenza, s’impegnino a promuovere una sana formazione ecumenica di tutti gli agenti pastorali (sacerdoti, religiosi, religiose e laici), perché tutti maturino una "mentalità ecumenica" conforme ai Principi enunciati dal Concilio Vaticano II ed alle direttive della Santa Sede, tenendo conto delle esperienze proprie da loro vissute (cfr. can. 904 CCEO).
    Essi, inoltre, favoriscano in tutti i modi la buona intesa con le Autorità locali della Chiesa ortodossa, sapendo comprendere le difficoltà che questa attraversa, per contribuire a creare un clima di fiducia e di serena collaborazione. Anche se vi sono stati motivi di opposizione nel passato, ricordino ai loro fedeli che solo la conversione dei cuori, nel perdono sincero verso chi li ha offesi, permette loro di chiamarsi veramente seguaci di Cristo.
    Nei casi in cui tale intesa risultasse difficile, i Vescovi ed Amministratori Apostolici abbiano cura di informare il Rappresentante Pontificio ed il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e, nei casi di loro competenza, gli altri Dicasteri della Curia romana. La collaborazione di queste istanze superiori, infatti, potrà aiutare non poco a risolvere casi particolari, che potranno essere oggetto di trattativa con il Patriarcato di Mosca o con le Autorità centrali di altre Chiese.
  2. I Vescovi e gli Amministratori Apostolici, che sono responsabili e garanti di tutte le iniziative pastorali promosse per favorire la vita religiosa delle comunità cattoliche, debbono vigilare affinché nessuna attività intrapresa nell’ambito delle loro circoscrizioni ecclesiastiche si presti ad essere male interpretata come una "struttura parallela di evangelizzazione". A tale proposito, il can. 905 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (CCEO) prescrive di evitare, da una parte, il falso ecumenismo e, d’altra parte, "uno zelo smoderato".
    In conformità con quanto previsto dal diritto della Chiesa (can 394, § 1 CIC; can. 203 CCEO), i sacerdoti, i religiosi ed i membri dei Movimenti laicali che volessero svolgere un ministero apostolico nei Paesi della C.S.I. debbono agire in stretta collaborazione ed alle dipendenze degli Ordinari locali, astenendosi da qualsiasi iniziativa che non sia stata previamente approvata dai medesimi Ordinari e rispettando scrupolosamente le direttive da essi impartite, ovviamente, nell’ambito della propria giurisdizione.
    Se si verificassero inconvenienti seri, i Vescovi ed Amministratori Apostolici ne informino tempestivamente il Rappresentante Pontificio e la Sede Apostolica.
  3. Sempre con lo scopo di favorire l’armonica convivenza con la Chiesa ortodossa e per dar prova di quella trasparenza che deve esserci in tutte le iniziative pastorali della chiesa cattolica, i Vescovi e gli Amministratori Apostolici informino gli Ordinari della Chiesa ortodossa di tutte le iniziative pastorali importanti, in particolare circa la costituzione di nuove parrocchie per rispondere alle esigenze delle comunità cattoliche esistenti sul posto.
    La Santa Sede è certa che i Vescovi ortodossi, che condividono le medesime ansie di evangelizzazione per i loro fedeli, saranno lieti di favorire l’assistenza spirituale delle comunità cattoliche esistenti sui territori delle loro Diocesi, anche con la restituzione delle chiese alle comunità cattoliche orientali o latine, laddove queste ne sono ancora prive.
    Qualora, però, per circostanze particolari, vi siano valutazioni contrastanti circa l’opportunità di un’iniziativa pastorale che un Vescovo o un Amministratore Apostolico ritenesse necessaria per il bene spirituale di un gruppo di fedeli cattolici, anche limitato, il Vescovo o l’Amministratore Apostolico, esauriti i mezzi di dialogo sopra menzionati, potrà agire secondo la sua coscienza, perché è lui il responsabile, davanti a Dio, della vita spirituale di tutti e di ciascun membro della Chiesa cattolica. Per le questioni più gravi, egli avrà cura di consultare il Rappresentante Pontificio ed i competenti Dicasteri della Curia romana.
  4. Qualora le circostanze lo consentissero, i Pastori della Chiesa cattolica, animati da zelo missionario e premurosi dell’evangelizzazione di milioni di persone che non conoscono ancora Cristo, si adoperino per collaborare con i Vescovi ortodossi a sviluppare le iniziative pastorali della Chiesa ortodossa, lieti se, con il loro apporto, possano contribuire a formare dei buoni cristiani.
  5. Le iniziative di carattere sociale (educative, caritative, e altre) che istituzioni della Chiesa cattolica dei paesi occidentali possono essere invitate ad intraprendere per contribuire al bene comune dei Paesi della C.S.I. o dell’Europa orientale converrà che siano portate a conoscenza delle autorità della Chiesa ortodossa.
    Quando è lo Stato o un Ente civile a chiedere la collaborazione di Ordini Religiosi e di altri Organismi giuridicamente dipendenti dalla Gerarchia cattolica, è un’esigenza di carità per i responsabili di tali istituzioni ecclesiastiche cattoliche di informarne le competenti autorità delle comunità ortodosse, anche se si può presumere che questi enti civili lo abbiano fatto da parte loro.
  6. Qualora Sacerdoti o Vescovi di altre Nazioni fossero invitati da Organismi statali (culturali, scientifici o altri), per certi eventi particolari, sarà opportuno avvisarne, per cortesia, il Patriarcato ortodosso o quello armeno. Analogamente, quando si invita un esponente ortodosso a partecipare a qualche evento promosso dalla Chiesa cattolica nei territori della C.S.I., sarà opportuno darne preavviso al Patriarcato.
  7. I Vescovi e gli Amministratori Apostolici, si preoccupino di assicurare la celebrazione dei Sacramenti nelle lingue parlate dalle minoranze etniche presenti nei vari Paesi. Questo fatto, di per sé, non comporta la trasformazione delle assemblee liturgiche in fattori di divisione o strumenti di un nazionalismo militante. Al tempo stesso, essi favoriscano l’inserimento delle minoranze presenti in maniera stabile o provvisoria nel contesto sociale maggioritorio del paese che le accoglie, senza che esso comporti la perdita della loro identità. Per ogni cattolico, infatti, la diversità offre la possibilità di condividere l’altrui richezza.
  8. I luoghi di culto, necessari alla vita liturgica ed ecclesiale delle comunità cristiane, debbono rispondere alle loro esigenze, quali scaturiscono dai diritti personali di esercitare -personalmente o in gruppo - gli atti religiosi della propria fede. Queste esigenze sorgono dalle condizioni locali: importanza della comunità, possibilità materiali, cura pastorale. La priorità per la distribuzione degli edifici di culto già esistenti dipende dalla proporzione - tanto numerica che sociale e storica - dei fedeli residenti nel posto. Se si tratta di costruire un nuovo edificio, si avrà cura di valutarne la necessità, prima di chiedere il necessario accordo del Vescovo diocesano (can. 1215, § 1 CIC; can. 870 CCEO). Sarà consigliabile a volte di provvedere all’uso comune dello stesso edificio di culto, previo un accordo tra le comunità cattolica ed ortodossa, o di altra confessione cristiana, da sottoporre alla approvazione dei rispettivi gerarchi.

Conclusione
La predicazione del Vangelo ad ogni creatura non può prescindere dal grande comandamento dell’amore, poiché dice Gesù: "da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli atri" (Giov. 13, 35). I mezzi, modi e metodi qui proposti alle comunità cattoliche vogliono aiutarle a rispondere con piena disponibilità a questa vocazione e grazia, di essere testimoni dell’unità voluta da Cristo.
A tutti è chiesto di rinnovare lo spirito di comunione promosso dal Concilio Ecumenico Vaticano II, di modo che, quelle fraterne relazioni, che devono esistere fra i discepoli di Cristo, possano condurre alla piena comunione di fede e di carità. In tal modo, sarà bandito "ogni sentimento di litigiosa rivalità" (Decreto Unitatis Redintegratio, n. 18) e, abbattuta la parete che divide la Chiesa Occidentale dall’Orientale, si avrà finalinente una unica dimora, solidamente fondata sulla pietra angolare, Cristo Gesù, il quale di entrambe ne farà una sola.

Dal Vaticano, 1 giugno 1992